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Occhi Aperti
  
 “M’ hai costruito un castello padre ed io non posso abitarlo perché puzza di morto;  e i resti dei cadaveri  sono le mura 
delle nostre case.”
Quando ho cominciato a scrivere Occhi Aperti, circa sette anni fa, ero profondamente arrabbiato con la generazione
 che mi aveva preceduto, con chi mi aveva obbligato a vivere una società fatta di “praticelli con steccati”, 
 con quel padre che aveva lottato, pregato e ucciso un altro padre in nome della libertà personale e del successo privato
 del proprio figlio: “Ma ogni figlio ha un padre...e per ogni padre ucciso...c'è stato un figlio che ha pianto”.
Ero arrabbiato per essere stato costretto a subire l'eredità di una Roma fascista, di una Sicilia mafiosa, 
di un'Italia “velatamente” razzista: di quell'“ognun per sé e Dio per tutti” che riempiva le pance e le menti dei più.
Ma scrivendo e mettendo nero su bianco mi sono reso conto che quella vita di guerre affamanti, di camere a gas, 
d’urla e di bava alla bocca che i nostri padri ci avevano “regalato” continuava ad essere presente grazie, anche, alla parola
 mai detta, all'immobilismo fisico e intellettuale di tanti, troppi figli. Quei figli di cui facevo parte, quei figli che andavano
 contro corrente, contro tutto e tutti, sempre contro, solo contro.
Mi è servito mettere da parte la paura di sbagliare e cominciare ad agire, ad essere responsabilmente cosciente delle scelte;
 m'è stato d'aiuto non aver timore di lasciare una porta aperta a quel "sogno di rivoluzione sociale, 
di vite vissute e non regalate; di padri, di figli: persone, non gente. Quel sogno che è il semplice, lucido, dovuto 
rispetto che nulla ha in comune con il sospetto di cosche di loschi pagliacci".
 

                                                                                                          Gaetano Lembo